Cartavenezia


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La Tecnica

La tecnica di fabbricazione


Il processo di fabbricazione della carta ha subito molti cambiamenti nel corso dei secoli, dovuti alle diversità del clima, geografia, cultura, disponibilità dei materiali e bisogni dell’utente, ma il processo, basato sulla filtrazione di una massa di fibre con telaio poroso, è rimasto lo stesso fino al oggi nei suoi principi basilari, nonostante gli enormi cambiamenti tecnici che hanno accompagnato questo atto.

I seguaci di Ts’ai Lun scoprirono che la carta poteva ottenersi dal bambù, dalla canapa e sfibrando la corteccia di gelso. I giapponesi ad esempio, che cominciarono a fabbricarla nel VII secolo, usarono principalmente corteccia di gelso. Ancora oggi la cosiddetta “carta riso” giapponese venduta nelle nostre cartolerie non è ricavata dal riso ma dalla corteccia di gelso.

La diffusione della carta e quindi della sua manifattura, dall’originario oriente all’Europa, ebbe un decorso alquanto lungo e non senza avversità. Dai cinesi quest’arte passò agli arabi solo nel VIII secolo, e da Samarcanda, dove fu impiantata una grande cartiera che permise di tenerne a lungo il monopolio, iniziò la sua penetrazione nelle maggiori provincie del modo islamico. Bagdad e Damasco dovettero certo esserne centri fiorenti se nell’una, alla metà del IX secolo si trova un “mercato di cartai” e l’altra già nel 985 esportava in occidente i suoi prodotti conosciuti come “fogli damaschini”. Nel X secolo si trovano cartiere in Egitto e in Marocco, fino a giungere alla prima carta europea.

Non essendo disponibili i materiali usati in Cina, gli arabi e gli europei macerarono stracci di lino e cotone per ottenere le fibre. La presenza di manifatture tessili quindi, i cui cascami offrivano un ottima materia prima, divenne determinante per il carattere della geografia cartaria.

Gli arabi avevano iniziato un processo innovativo di meccanizzazione introducendo l’uso del mulino per la triturazione di cenci e sostituendo alla tela della forma un telaio provvisorio di finissime lamelle orizzontali di giunco o di bambù, poi sostituite dal loro stessi e sicuramente dagli europei, con telai composti da sottili fili di ottone incrociati e tesi su una cornice di legno, che determineranno la vergatura della carta.

Spetta comunque a cartai italiani e precisamente a quelli fabrianesi aver condotto la manifattura ai livelli che la renderanno finalmente bene accetta. Ciò fu dovuto innanzitutto all’utilizzazione della pila a maglio, dove per mezzo di pestelli muniti di punte metalliche e azionati idraulicamente si riuscì ad ottenere una sfibratura dei cenci assai più perfezionata. Prima di passare alla triturazione gli stracci venivano scelti (non disponendo di reagenti chimici sbiancanti), lavati e lasciati fermentare per diverse settimane in un apposito locale detto “marcitoio”, a volte con l’aggiunta di latte di calce. Quindi, ridotti manualmente in pezzetti, venivano sottoposti all’azione dei martelli. L’impasto così ottenuto, riversato in sospensione acquosa in una vasca ovoidale detta “tino”, veniva prelevato da un operaio per mezzo di un telaio munito di una specie di cornice, con la funzione di determinare la misura e lo spessore del foglio.

L’operaio addetto a questa operazione era l’uomo chiave del processo di fabbricazione della carta: l’abilità di fabbricare in serie fogli uniformi richiedeva anni di apprendistato e capacità fisica. Dopo che un foglio era stato formato, un assistente lo trasferiva su un feltro pesante costruendo gradualmente una pila di feltri e di fogli alternati.

Questa pila veniva poi posta sotto una grande pressa che espelleva l’acqua in eccesso e consolidava i fogli di carta. Quindi i fogli venivano stesi uno per uno ad asciugare su corde di canapa ed una volta asciutti si passava all’incollatura della superficie per renderla più resistente ed impermeabile agli inchiostri. La collatura era il processo più delicato e rischioso, in quanto richiedeva attenzioni particolari e la scelta del tempo, che doveva essere secco e temperato. Il processo fu poi perfezionato a Fabriano, con la sostituzione, verso la metà del trecento, dalla colla vegetale di amido con quella di animale ricavata dai carnicci e dai resti delle pergamene, liberando la carta da uno dei più grandi inconvenienti e cioè la grande vulnerabilità all’attacco fungino. Soltanto all’inizio del XIX secolo questo trattamento in superficie poté essere sostituito con la collatura in pasta alla colofonia e allume.

Dato il grande lavoro e l’abilità necessaria, ben presto i cartai presero a marcare i fogli prodotti con filigrane, insegne o disegni particolari. La filigrana è data da un sottile filo metallico attaccato al telaio per cui la carta in corrispondenza del filo risulta più sottile ed il marchio è visibile ponendo la carta in controluce. Tali marchi acquistarono subito valore di autenticità, arrivando nell’ottocento ad indicare il formato, la qualità, il nome del fabbricante, il luogo e l’anno di fabbricazione.

Già nel secolo XIV erano state messe in vendita carte colorate, prodotte cioè aggiungendo pigmenti di natura vegetale o minerale direttamente alla pasta. Le più richieste furono secondo l’uso di Venezia quelle cerulee.

Fin verso la fine del Settecento la gamma dei coloranti fu comunque piuttosto ristretta. Le tinte venivano ottenute dalla combinazione dei tre colori primari rappresentanti dall’indaco per blu, dal carminio (o ancor meglio dalla garanza) per il rosso ed infine dalla curcuma per il giallo.

Successivamente furono disponibili in commercio coloranti pronti all’uso. Nell’ottocento le tinte artificiali e all’anilina soppiantarono quasi del tutto quelle di origine naturale, offrendo un gamma pressoché inesauribile di colorazioni.

La collatura e la tintura stabiliscono dunque dei caratteri storici distintivi della manifattura, sebbene essenzialmente rimanga sempre la “forma” alla base delle caratteristiche di un foglio, in quanto ne determina il formato, la qualità e la quantità di vergelle e filoni, la presenza o meno di filigrana. La necessità ritirare a braccia la “forma” dalla vasca, imponeva ovviamente un condizionamento delle dimensioni, cosicché, dopo gli elevati livelli tecnici raggiunti nel passato dagli arabi con la produzione di fogli di circa 520x700 e con l’eccezionale grande carta di Bagdad di 730x1090, in Europa non erano generalmente reperibili che due formati, uno 300x400 e l’altro 400x600, con pochi centimetri di scarto.

Il definitivo superamento di tali limitazioni si avrà solo con la produzione meccanizzata dell’ottocento. La domanda di carta divenne sempre maggiore, ma ad ostacolare la sua divulgazione furono due problemi, rappresentati dal costo del lavoro e dalla scarsità di materia prima. Innovazioni meccanizzate e chimiche aiutarono a risolvere questi difficoltà ma ne crearono di nuove: la tecnologia aveva provveduto a fornire la quantità a discapito della qualità.

La macchina olandese, verso la metà del settecento, fu una delle più importanti di queste innovazioni. Costituita da un cilindro rotante con lame taglienti, la cui azione si combinava con quella di altre lame fisse sul fondo del tino, riduceva in poco tempo in polpa i ritagli di stracci, sostituendo così la vecchia macchina a martelli ed abolendo il lungo e spesso rischioso uso del marcitoio. Le carte ottenute si rilevarono particolarmente adatte alla stampa di incisioni, in quanto vellutate e compatte anche senza alcune collatura.

Un’altra innovazione settecentesca fu l’introduzione dell’allume (potassium-alluminum-solphate), un prodotto chimico usato per indurire la colla di gelatina animale e per evitare che putrificasse. Esso divenne presto in uso comune nella fabbricazione della carta con risultati negativi però sulla longevità e resistenza della carta stessa per l’incremento di acidità che esso determinava. Effetti disastrosi ebbe il cloro, usato per la sbianca delle stoffe colorante o macchiate, il cui uso cominciò nel 1774.

Fin da quando fu usata la pasta ottenuta dagli stracci le fibre che troviamo sulla carta erano di cellulosa quasi pura, cioè di un polimero glucosidico assai poco sensibile, dato il suo alto grado di polimerizzazione, alla maggior parte degli agenti chimici, e le cui lunghe catene molecolari offrono una buona garanzia di resistenza meccanica. Ma la disponibilità di stracci sembra non essere mai stata sufficiente per la domanda di carta, che nel XIX secolo era divenuta enorme.

La ricerca di un sostituto economico degli stracci occupò a lungo i cartai. Nell’ottocento si sperimentarono numerosissimi materiali, tra cui l’amianto, la patata, i cardi e le foglie del mais. Soltanto il legno tuttavia si dimostrò efficace e si idearono quindi procedimenti sempre più perfezionati per la sua utilizzazione.

Il risultato pratico dei diversi procedimenti di lavorazione della materia saranno la pasta di legno (ottenuta dalla semplice azione meccanica del tronco con una mola abrasiva), la pasta semichimica (in cui il processo viene preceduto da un trattamento chimico che abbassa la resistenza del legno) e la pasta chimica (dove la dissoluzione della sostanza avviene esclusivamente mediante reagenti chimici).

La pasta legno ritiene grande quantità di lignina, la sostanza cementante delle fibre vegetali, particolarmente sensibile agli agenti esterni e soprattutto alla luce, e si trasforma facilmente in componenti acidi che attaccano la carta e ne causano il deterioramento. Inoltre l’azione meccanica della mola sul legno produce delle fibre estremamente corte riducendo la possibilità di legame fra di esse. Uguale trattamento subiscono le paste semichimiche, anche se qui un iniziale processo chimico ha parzialmente liberato le fibre dagli agenti incrostati. E’ solo con le paste chimiche, dunque, che è possibile riacquistare una composizione cellulosica, anche se questa a volte può risultare alterata da una troppo aggressiva azione dei reagenti.

La qualità eccellente dei fogli più antichi è dovuta, oltre che alla purezza delle materie prime, ad una certa percentuale di carbonato di calcio e di magnesio, presenti nell’acqua di cale usata nella fermentazione degli stracci e spesso anche nelle acque dure dei mulini. I carbonati infatti, quali prodotti alcalini, hanno offerto una sicura protezione alla carta dall’acidità; acidità che, provocando la rottura ed il conseguente accorciamento delle catene molecolari, rappresenta uno dei fattori maggiormente deteriorabili.

Esiste dunque una profonda diversità tra le carte di varie epoche e di varie manifatture per la particolare incidenza dei fattori peculiari hanno sulla vita del pezzo e di conseguenza si presenta un’ampia casistica sia a livello di conservazione che di restauro.

L’industria cartaria moderna, dopo aver scontato gli errori del passato, è giunta ad una produzione diversificata. Grazie alla moderna tecnologia, alla disponibilità di fibre pure e all’addizione di additivi alcalini è in grado di produrre carte in grado di mantenere per secoli le proprie qualità libere dalle cause di deterioramento interno.

La fabbricazione

Il processo di fabbricazione della carta a mano può essere suddiviso nei punti seguenti:

Selezione del materiale greggio, carta straccia, stracci di lino o cotone, cascami di cotone e fibre vegetali.
Preparazione per la macerazione per mezzo del taglio o della decomposizione del materiale che verrà così ridotto ad una soffice purea di fibre della giusta lunghezza.
Macerazione per mezzo di mazzuoli, pestelli o di una macchina battitrice come quella “olandese”.
Trasferimento del “battuto” dalla battitrice al contenitore della materia prima pronto ad essere aggiunto nel tino.
Formazione del foglio o fogli di carta per mezzo di una “forma” (con base retinata) e del “cascio” (cornice che determina le dimensioni e la forma del foglio)
Trasferimento del foglio dalla “forma” ai feltri posti su di una superficie curva detta “cavallo”
Pressatura. Questa fase usualmente è suddivisa in due parti. La prima, della durata di pochi minuti, consiste nella pressatura dei fogli con dei feltri da entrambi i lati. La seconda quando i fogli vengono passati nuovamente dopo essere stati separati dai feltri. Con queste operazioni si elimina gran parte dell’acqua contenuta nei fogli ed inizia il processo di manutenzione che permette alle singole fibre le une con le altre.
Asciugatura. Vari metodi vengono impiegati per asciugare la carta, dal più semplice, lasciandola esposta al sole o all’aria, ai più sofisticati sistemi artificialmente, dove la carta viene spostata da nastri trasportatori e dove l’aria viene fatta circolare forzatamente attorno alla carta appesa.
Ripressatura e stiratura della superficie dei fogli per renderli lisci e lucidi.
Controllo della presenza di corpi estranei o altri difetti.
Immagazzinamento della carta per un periodo al fine di permettere il completamento del processo di maturazione e la sua stabilizzazione.

La realizzazione di tutte queste fasi o l’omissione di alcune di esse dipende dal singolo cartaio, dai materiali utilizzati, dall’uso a cui è destinata la carta e dalla disponibilità materiale dell’attrezzatura. In certe circostanze alcune fasi possono essere aggiunte mentre altre, come la selezione della materia prima, la preparazione per la battitura, la battitura o l’asciugatura, possono essere eseguite in modi diversi. La formazione del fogli o ad esempio, il suo trasferimento e la pressatura possono non essere appropriate se la carta dovrà essere usata in scultura o in scenografia, oppure se è richiesta una superficie ruvida o un foglio troppo grande per essere fatto con una sola “forma”. Anche le fasi della macerazione e della maturazione richiedono una breve spiegazione: durante la macerazione le fibre di cellulosa (simili a tubicini vuoti di varia lunghezza e forma, a seconda della loro origine) si ammorbidiscono e grazie al processo dell’idratazione sono in grado di assorbire grandi quantità di acqua.

Le fibre subiscono quindi i vari processi di “fibrillazione” attraverso la battitura che sfilaccia e districa le fibrille aumentando così la superficie. La battitura deve essere controllata attentamente se si vuole ottenere una corta con le proprietà desiderate in quanto, la battitura e la macerazione, determinano alla fine la qualità della carta prodotta.

La maturazione ha inizio dal momento della pressatura e continua fino a quando il foglio non si è adattato alle condizioni ambientali, il che può richiedere alcuni mesi in ambienti ad umidità controllata. Durante tutto questo periodo le fibre si muovono attratte le une verso le altre continuando così il processo della “cementazione” fino a giungere ad una condizione di stabilità.

Cause del degrado
Tutti i materiali organici, sia di origine biologica che sintetica, possono essere degradati da agenti biologici o chimici se conservati in ambienti sfavorevoli. La carta è tra i più fragili, suscettibile com’è ai danneggiamenti provocati dalle condizioni ambientali, da agenti biologici come funghi e insetti ed infine dall’uomo.

La temperatura e soprattutto l’umidità sono i fattori più importanti sia nel favorisce che nell’inibire un attacco di origine biologica. I materiali cartacei sono composti quasi esclusivamente da cellulosa, una sostanza altamente igroscopica e quindi molto sensibile all’umidità ambientale. La suscettibilità della carta ad essere attaccata dai microrganismi dipende dal livello di umidità al quale inizia la germinazione delle spore fungine o la schiusa delle uova degli insetti, che sono sempre presenti nell’ambiente e sugli oggetti. Di solito tale valore si aggira intorno all’80-100% di umidità relativa, che però può scendere fino a valori attorno al 70% nel caso di lunghi periodi di immagazzinamento.

Bisogna specificare che il valore di umidità importante è quello contenuto nella carta, valore che è legato in equilibrio dinamico al contenuto di umidità relativa dell’ambiente. Il contenuto di umidità della carta ha un valore soglia dell’8%, al di sotto del quale non si ha germinazione delle spore, mentre per valori superiori e corrispondente a valori ambientali di temperatura intorno ai 20° C. e di umidità relativa dell’80%, le spore germinano provocando un’alterazione della struttura delle fibre e la comparsa di macchie scure di difficile eliminazione dovute alla liberazione di prodotti del metabolismo che vengono assorbiti dalle fibre del materiale.

Da tutto questo appare evidente la necessità di controllare la temperatura e soprattutto l’umidità dell’ambiente in cui vengono conservati i materiali artistici in carta. I valori ottimali per la conservazione dei disegni e delle stampe sono: temperatura 15-18°C., umidità 60-65%. Tali valori dovrebbero essere mantenuti sempre costanti.

Un altro problema che interessa la conservazione della carta è rappresentato dagli insetti. Gli insetti più comuni che minacciano la carta sono i tarli, le termiti e soprattutto il pesciolino d’argento(lepisma saccharina) al quale si debbono le abrasioni più estese e superficiali. Questi insetti si sviluppano e si moltiplicano sui materiali cartacei a spese soprattutto della cellulosa e dei collanti presente sia nei vecchi montaggi e nelle rilegature che negli antichi restauri. Essi preferiscono ambienti caldi e umidi, sfuggono la luce e possono provocare gravi danni prima che vengano individuati.

Anche in questo caso dunque vi sono delle condizioni che favoriscono le aggressioni di insetti, come ad esempio ambienti male aerati o scarsamente puliti, con temperature intorno ai 25° ed umidità relativa superiore al 75%. In tali condizioni il contenuto d’acqua dei materiali raggiunge facilmentel’8-12%, permettendo il proliferare dei vari insetti. L’eliminazione di questi agenti di degradazione si presenta abbastanza complessa perché gli insetti durante il loro sviluppo attraversano gli stadi di uova, larva e insetto adulto, che presentano necessità alimentari e resistenze diverse rispetto ad eventuali trattamenti con insetticidi.

Il restauro di opere danneggiate dagli insetti è molto delicato e complesso, oltre a richiedere tempi operativi assai lunghi per la reintegrazione della carta divorata.

La conservazione delle opere d’arte ha avuto negli ultimi anni una costante naturale, quando non vi siano circostanze particolari, ma ha subìto una degradazione.



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